Mauro Rostagno:Un omicidio mascariato da un intreccio trilaterale.

Grazie al noto Angelo Siino,della famosa “informativa Caronte”, abbiamo la certezza che la matassa “mafia-politica-potere” offre una mascariata a tanti fatti di cronaca che devono rimanere censurati!

… agli uomini capita di mettere radici, e poi il tronco, i rami, le foglie… quando tira vento, i rami si possono spaccare, le foglie vengono strappate via: allora decidi di non rischiare, di non sfidare il vento. Ti poti, diventi un alberello tranquillo, pochi rami, poche foglie, appena l’indispensabile. Oppure te ne fotti. Cresci e ti allarghi. Vivi. Rischi. Sfidi la mafia, che è una forma di contenimento, di mortificazione. La mafia ti umilia: calati junco che passa la piena, dicono da queste parti. Ecco, la mafia è negazione d’una parola un po’ borghese: la dignità dell’uomo.

(Mauro Rostagno)

Tra pochi giorni ricorre l’anniversario dell’omicidio del giornalista Mauro Rostagno,ma chi era veramente e perché fu ucciso?

Nato a Torino il 6 marzo 1942,venne assassinato a Valderice il 26 settembre 1988.

Mauro Rostagno si sposò ad appena 18 anni con una ragazza più giovane di lui cui ebbe una figlia,a questo punto con il lieto evento decide di interrompere gli studi  e partire in cerca di lavoro,prima in Germania poi in Inghilterra,si trasferì definitivamente a Milano dove conseguì prima la maturità scientifica per inseguire la carriera giornalistica..

Già,sembra un racconto di oggi e non degli anni ’60,sembra che parliamo di sogni infranti,come quelli che viviamo in Sicilia ancora oggi!

Ma Rostagno fu qualcosa in più,ebbe una marcia di ribellione perché a Milano iniziò anche la sua militanza politica nei movimenti studenteschi,tanto che si traferì a Parigi,dove a seguito della sua partecipazione a una manifestazione giovanile venne espulso dalla Francia,quindi si trasferì a Trento, dove si iscrisse alla neonata facoltà di Sociologia.

La sua voglia di cambiare le cose non si fermò e divenne leader e uno tra i fondatori di “Lotta Continua”,inoltre si candidò alle elezioni politiche con Democrazia Proletaria nei collegi di Roma, Milano e Palermo,non risultando eletto per pochi voti.

La somiglianza per le idee rivoluzionarie  – anche se diverse – tra Peppino Impastato e Rostagno sembrano avere un qualcosa in comune…

Rostagno va oltre,insieme alla compagna Elisabetta Roveri e alla figlia Maddalena Rostagno,si trasferì in India, entrando a far parte degli “arancioni”, la comunità spirituale di Bhagwan Shree Rajnesh (Osho) per poi,una volta ritornato in Sicilia,a Trapani,fondare la comunità di “Saman” per il recupero di tossicodipendenti.

C’è un’etica e una morale che va oltre le scelte e le ideologie politiche e rivoluzionarie comuni…

Fu così che Rostagno cominciò a collaborare con una televisione locale,Rtc (Rete Tele Cinema),dove teneva giornalmente una rubrica fissa nella quale denunciava la presenza di Cosa Nostra sul territorio, le sue infiltrazioni nella politica locale, nelle gare d’appalto.

Ecco il motivo vero che portò all’assassinio di Mauro Rostagno,quella ricerca della verità che solo nel giornalismo d’inchiesta può andare oltre la chiave di lettura delle “denunce”,delle “sentenze” e delle “archiviazioni”.

Secondo alcune testimonianze i boss Nitto Santapaola e Mariano Agate,durante una pausa di un’udienza,avrebbero mandato a dire a Rostagno che  «doveva dire meno minchiate».

Dopo l’omicidio di Mauro Rostagno furono condotte varie indagini :

  • La pista mafiosa:(condotta dal commissario Rino Germanà) fu una delle prime ad essere vagliata dagli inquirenti, ma le indagini non riuscirono a individuare prove sufficienti.
  • La pista interna:il giornalista sarebbe stato ucciso per contrasti interni alla comunità di Saman; Francesco Cardella, il suo socio e co-fondatore della comunità, venne accusato di essere il mandante, e la compagna Elisabetta Roveri di favoreggiamento.
  • La pista politica:Rostagno, pochi giorni prima di essere ucciso, era stato chiamato a Milano a deporre dai giudici che stavano indagando sull’omicidio del commissario Luigi Calabresi; ad ucciderlo, dunque, sarebbero stati i suoi ex compagni di Lotta Continua perché Rostagno conosceva il nome dell’assassino del commissario Calabresi.

Un’ulteriore pista legava l’attività giornalistica di Rostagno all’uccisione in Somalia dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Dalle dichiarazioni rese dai testi e dai collaboratori della comunità, emerse che Rostagno aveva dichiarato di aver assistito nei pressi dell’Aeroporto di Chinisia, abbandonato, all’atterraggio di un aereo militare, da cui erano state scaricate delle casse, e caricatene delle altre. I testi a cui Rostagno aveva poi raccontato l’accaduto, dichiararono che il giornalista era riuscito a scorgere l’interno delle casse, piene di armi.

Rostagno aveva filmato tutta l’operazione, e si era recato agli studi per riversare il contenuto della minicassetta in una cassetta da vedere in un videoregistratore.

Quel giorno Rostagno avrebbe dichiarato:

Stasera manderò in onda un servizio che farà tremare l’Italia“,ma il servizio non sarebbe stato mai trasmesso.

Contenuta nella borsa dalla quale non si separava mai, la misteriosa videocassetta sparì nel nulla dopo l’omicidio:dalle fotografie del luogo dell’agguato il contenuto della borsa appariva rovesciato sul sedile posteriore dell’auto, senza che della videocassetta vi fosse però traccia.

Nel 1997 la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo prese le redini delle indagini. Grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori (esponente di spicco della cosca di Mazzara del Vallo), si apprese come il movente dell’omicidio Rostagno sarebbero state le denunce e le indagini compiute dal giornalista, diventate troppo scomode per gli affari di Cosa Nostra. La decisione di uccidere Rostagno sarebbe stata presa ad una riunione a Castelvetrano (TP) alla quale avrebbe partecipato lo stesso Sinacori, insieme al boss trapanese Francesco Messina Denaro, a Francesco Messina mafioso di Mazzara del Vallo, ed altri esponenti della zona.

Le indagini erano prossime all’archiviazione tombale, fino a quando il procuratore aggiunto Antonio Ingroia non richiese una perizia balistica sui proiettili utilizzati nell’omicidio (mai effettuata fino ad allora). Si riuscì così a raccogliere prove sufficienti per richiedere il rinvio a giudizio dei due sospettati dell’omicidio: il boss trapanese Vincenzo Virga, come mandante dell’omicidio, e il killer Vito Mazzara, come uno degli esecutori materiali.

Processo di 1° grado

Il processo si aprì il 2 febbraio 2011, a quasi 23 anni dall’uccisione del giornalista, a Trapani. La figlia di Rostagno, Maddalena, aprì un gruppo su facebook che tuttora segue ogni udienza del procedimento.

Il 16 aprile 2014 i pm della Dda di Palermo Gaetano Paci e Francesco Del Bene chiesero la pena dell’ergastolo per i due imputati. Per la pubblica accusa, “il modus operandi seguito nel delitto Rostagno è quello tipicamente mafioso” e il movente sarebbe stato da ricondurre “all’attività giornalistica, destabilizzante della quiete criminale” che Rostagno conduceva dagli schermi dell’emittente televisiva locale Rtc. I difensori Stefano Vezzadini e Giancarlo Ingrassia, per Virga, e Vito e Salvatore Galluffo, per Mazzara, chiesero invece l’assoluzione dei loro assistiti “per non aver commesso il fatto”.

Alle 23:38 del 15 maggio 2014 la Corte, presieduta da Angelo Pellino e riunita in Camera di Consiglio dalle 12 del martedì precedente nell’aula bunker del carcere di Trapani, ha emesso una condanna all’ergastolo per Vito Mazzara e Vincenzo Virga per l’omicidio di Mauro Rostagno.

Il collegio ha condannato inoltre i due imputati al risarcimento delle parti civili tra le quali: l’Ordine dei giornalisti, la comunità Saman, di cui Rostagno era il fondatore, i familiari del sociologo e l’Associazione della stampa.

La Corte ha anche disposto la trasmissione in Procura delle deposizioni dell’ex sottufficiale dei carabinieri Beniamino Cannas, di Caterina Ingrasciotta (vedova dell’editore di Rtc), di Leonild Heur (moglie del generale dei serivizi segreti Angelo Chizzoni), del giornalista Salvatore Vassallo Salvatore, dell’ufficiale della GdF Angelo Voza, del massone Natale Torregrossa, di Antonio Gianquinto e dei tre muratori che fecero un pic-nic nell’area dove fu bruciata l’auto usata dai killer.

Ulteriori gradi di giudizio

Appello

Il 19 febbraio 2018 la corte d’Assise d’appello di Palermo confermò la pena dell’ergastolo per il boss Vincenzo Virga, in qualità di mandante dell’omicidio, mentre ha disposto l’assoluzione per Vito Mazzara, considerato l’esecutore materiale.

Fonte WikiMafia

La nota dolente di questa vicenda è la costituzione di parte civile che deve essere sempre accertata nei fatti e nei diritti,non a caso è scoppiato il caso su diverse associazioni antimafia o di categoria,che pur non lavorando in alcune città attivamente,si costituiscono parti civili e ricevono “risarcimenti che non gli appartangeno”.

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