HomeMafia & AntimafiaLa vera storia di...

La vera storia di Gianluca Calì. Campesi e Flamia nella sua vicenda

Sono troppe le trame ricucite con forza dietro a molte storie di persone reali che per scelta o conseguenza di quella che diverrà la lotta alla “mafia” ne ricostruiscono la fitta rete di misteri; storie di quella mafia che da Palermo, che dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, toccheranno tutte le province siciliane compresa quella della “primula rossa”, Matteo Messina Denaro, Trapani.

E’ una lunga storia in cui sembra che anche le “Commissioni Antimafia” – Regionale (ARS) e Nazionale – tendono a rimanerne lontano, più intrigata del “Caso Antoci”, delle “Discariche Abusive” e dello scioglimento dei Comuni per “Infiltrazioni mafiose”, perché qui si incontrano figure strane e atti giudiziari che giungono al destinatario misteriosamente e in ritardo.

La storia di Gianluca Calì che racconteremo è stata piena di delegittimazioni e mascariamento, tant’è che nessuno ha avuto il coraggio di leggerne le sentenze e chiarire all’opinione pubblica, senza accusarlo di falso, gli “intrecci e la casualità della vicinanza di due volti conosciuti, Roberto Campesi e la vicenda Flamia (quella dei servizi segreti), attorno a Calì, Bagheria e la villa di Michele Greco detto il papa”?

Nella vicenda in questione, che tratteremo in diversi articoli, incontreremo il “mandamento di Bagheria” ma anche la vicenda Flamia”, trattata dal COPASIR insieme all’ “Operazione Farfalla e Rientro”, e di minacce ed avvertimenti che arrivano fino a Milano, nonché della figura chiave al processo di Caltanissetta, relativo al Borsellino quater, Roberto Campesi.

Gianluca Calì, classe ’73, è un imprenditore che ha deciso di non piegarsi alle richieste di “pizzo” e neanche alle minacce di morte; ha testimoniato e fatto condannare numero mafiosi appartenenti al mandamento di Bagheria, con sentenza in Appello del 20/09/2019 scaturita dall’Operazione “Panta Rei”.

Ad oggi non risulta essere appartenente alla categoria dei “testimoni di giustizia” né è stato ascoltato da nessuna “Commissione Antimafia” per i fatti inerenti la sua storia, eppure nessun altro, all’infuori di Calì, meriterebbe di essere “testimone di giustizia” e la sua storia parlerà da sé con quanto scriveremo lungo questa inchiesta.

Gianluca Calì si era trasferito da anni al nord Italia, a Milano con la famiglia, ha lavorato presso una concessionaria di auto e si è sudato la professione di “imprenditore” che più tardi gli riaccenderà la fiamma “il sogno di ritornare nel sua città di origine e di avviare un’attività imprenditoriale di automobili”; ma ben presto vedremo come quel sogno si trasformerà in un incubo e nello stesso tempo di un “uomo che ama lo Stato”.

E’ il 2009 e grazie ad alcuni amici riesce a trovare un piazzale dove poter aprire la sua attività, proprio lì a Casteldaccia, in provincia di Palermo, dove riuscirà a fatturare  24.000.000 € (ventiquattro milioni di euro) l’anno, con una media vendita di auto di circa 30 al giorno; ma purtroppo compie il passo “falso” che gli costeranno “minacce e intimidazioni”, a ritrovarsi tra il “mandamento di Cosa Nostra di Bagheria” e la vicenda legata all’ “operazione segreta Flamia” da una parte, e dall’altra all’uomo occulto del “processo Borsellino Quater Roberto Campesi”.

Roberto Campesi
Roberto Campesi ex consulente del giudice Ayala

La sua voglia di riscatto per la sua terra e le meraviglie di quella Palermo, lo porteranno ad acquistare all’asta la villa di Michele Greco (detto il papa) per crearne una casa vacanze atta a ospitare turisti da ogni parte del mondo per farne visitare le bellezze della splendida terra….

Gianluca Calì, in diverse occasioni, ha dichiarato che tale iniziativa era “volta a dimostrare concretamente che la Sicilia non è più solo terra di mafia ma anche di persone per bene che ogni giorno lottano con forza e coraggio facendo il proprio dovere morale e civile”, aggiungendo  “Quella villa è un riscatto sociale di tutti i siciliani onesti che non chinano la testa e combattono la mafia. Sarà un’attrazione turistica e il mondo intero saprà che la Sicilia e i siciliani sono meravigliosi”.

Il tentato acquisto della villa, che si avverrà successivamente, sarà lo scatto per il mandamento di Bagheria e di altri per intimidirlo e farlo cedere.

Iniziano così i problemi per Calì che si vede prima intralciare l’acquisto della “villa di Michele Greco” e dopo l’acquisto e iniziati i lavori di ristrutturazione della stessa, si vedrà bloccare i lavori “da una parte dello Stato”; in quella villa di Casteldaccia, durante la ristrutturazione, l’imprenditore riceve la visita di alcuni agenti della guardia Forestale che verificano i lavori e decidono di sequestrare la struttura, verbalizzando che il Calì stava modificando la struttura della stessa.

Da quel momento e fino al 2018 la villa è rimarrà ferma e solo più tardi gli agenti della Forestale finiranno in un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo che coordina lo SCO, Servizio centrale operativo della Polizia di Stato con l’accusa “ricattavano gli abitanti della zona minacciando il sequestro di immobili in cambio chiedevano somme di denaro”.

Ma di questa vicenda ne parleremo nel prossimo articolo…

Iniziano i messaggi di intimidazione da parte della mafia

E’ il Giugno 2011 e dalla sua concessionaria di automobili si presenterà per diverse volte un giovane che si presenterà come il figlio di Pietro Flamia , affiliato al mandamento di Bagheria, ad oggi mai identificato nonostante, nelle sue visite, citerà il Virruso e che, notando la video sorveglianza, potevano pure guardare e conservare il numero di targa del mezzo e il viso affermando “ritornerò”.

Per l’esattezza Giuseppe Virruso era uno dei postini più attivi di Bernardo Provenzano finito coinvolto nell’operazione Grande Mandamento, che rivelò anche come il fratello del boss era stato sindaco di Casteldaccia fra il 1990 e il 1994; mentre Giovanni Pietro Flamia sarà tratto in arresto grazie alle dichiarazioni di Gianluca Calì e altri imprenditori, confermate dai pentiti Sergio Flamia e Enzo Gennato, quest’ultimi sveleranno il sistema criminale e di potere del mandamento di Bagheria.

Sergio Flamia è colui che ha dato il nome alla sua discussa vicenda del Cosapir

Intanto passano giorni, settimane e mesi, le denunce di Calì continuano e le minacce dei mafiosi anche; più volte la mafia busserà nel suo autosalone per avere «un contributo per gli avvocati e le famiglie dei carcerati» ma anche per offrirgli «protezione», chi si presenta lo ammonirà spesso “Calì non paga e denuncia”.

Gianluca Calì inizia a farsi un nome “lo sbirro” e finisce anche nel mirino di Sergio Flamia, 40 omicidi alle spalle, divenuto dopo collaboratore di giustizia e  l’infiltrato dell’ “operazione Rientro”.

Sergio Flamia, per intenderci, compare nel “Protocollo Farfalla”, sistema gestito da un pezzo dei servizi segreti per avere informazioni dai detenuti nelle carceri.

A proposito delle cosiddette operazioni “Farfalla” e “Rientro”, oltre alla “vicenda Flamia”, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR), integrato dai rappresentanti dei gruppi parlamentari, in data 8 ottobre 2014, alla luce di notizie di stampa e di dichiarazioni pubbliche di soggetti anche istituzionali, ha deliberato di svolgere un’indagine e ha precisato:

“Tali operazioni avevano visto collaborare agenti penitenziari e agenti dei Servizi di sicurezza, con particolare riferimento ai periodi tra il 23 giugno 2003 ed il 18 agosto 2004 per l’operazione «Farfalla» e tra il 25 novembre 2005 ed il 2 febbraio 2007 per l’operazione «Rientro ». Nel corso delle audizioni è emerso un’ulteriore filone d’indagine relativo alla vicenda della collaborazione del pregiudicato Sergio Flamia con i Servizi che ha avuto luogo dal luglio 2008 all’ottobre 2013.

Dal 2011 in poi il fatturato della società di Calì comincia a calare, «Dopo il primo attentato», racconta Calì, «dacchè vendevo 30 macchine al giorno, per un mese non ho venduto un’auto. Questo perché l’ufficio marketing della mafia, che reputo uno dei migliori al mondo, è riuscito a farmi terra bruciata attorno».

Gianluca è costretto a licenziare molti dipendenti e a cambiare anche sede.

Durante la partecipazione ad una gara automobilistica, unico hobby che Gianluca cerca di non abbandonare, cinque bulloni delle ruote della sua auto saltano tutti contemporaneamente e Calì finisce fuori strada, fortunatamente illeso.

Gianluca Calì reagisce e davanti l’autosalone espone un cartello per chiedere aiuto alla cittadinanza nel segnalare presenze sospette.

Dalle denunce di Gianluca Calì contro i suoi estorsori scaturisce un’indagine dei militari dell’arma dei Carabinieri che porterà all’arresto di 39 persone affiliate al mandamento di Bagheria.

Nell’ “operazione Reset”, di cui sarà tratto il processo, le forze dell’ordine, coordinati dal procuratore Francesco Messineo, dall’aggiunto Leonardo Agueci, e dai sostituti Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco, emetteranno i mandati di arresto, con nomi eccellenti, fra cui: Carlo Guttadauro, fratello di Filippo e Giuseppe, capo decina di Aspra; Giuseppe Comparetto, uomo d’onore di Villabate; Emanuele Modica, considerato affiliato alla mafia canadese; Antonino Messicati Vitale; Giuseppe Di Fiore, Giovanni Pietro Flamia, Salvatore Lo Piparo, Giovanni Di Salvo, Michele Modica ed Emanuele Cecala.

Ma nonostante gli arresti, le minacce arrivano fino a Milano, da dove l’imprenditore fa ancora la spola con Palermo.

Qualcuno gli dice “sei un pazzo, chi te lo fa fare”, ma io non voglio rinunciare a tornare in Sicilia», dice.

Così arriva il primo avvertimento anche a Milano, siamo nel 2014 e le parole di un pentito – a quel punto – risuoneranno nella mente di Calì: “Al nord non potranno dire che a ucciderti è stata la mafia”!

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui
Captcha verification failed!
Punteggio utente captcha non riuscito. Ci contatti per favore!

Altri articoli dell'Autore

Potrebbero interessarti