I misteri e le ombre dietro la mano della “mafia” e della “antimafia”, in parte sconfessata, si allungano di giorno in giorno e chissà perché a un certo punto delle nostre inchieste incontriamo quei “non possono rispondere” o “non se ne può parlare” di alcuni collaboratori di giustizia.
E’ successo e bisogna tenerne conto, c’è un processo su tutti che mette le questioni in chiaro sulla fitta rete di misteri tra la “mafia e l’antimafia”, è il Borsellino quater.
Dietro la sentenza del depistaggio possiamo leggere che Vincenzo Scarantino fu il falso pentito-chiave che permise il clamoroso depistaggio, in pratica colui che per anni ha impedito di indagare seriamente sulla strage, sui mandanti e sui motivi dell’attentato. Le attenuanti della sentenza hanno fatto discutere a lungo per poi affievolirsi, non abbiamo risposte del perché siano state concesse le attenuanti a Scarantino né perché apparati dello Stato depistarono, né se i tre poliziotti agirono per conto proprio.
Di certo che quei magistrati si lasciarono depistare perché impreparati o ingenui ci sembra assurdo, soprattutto in un “Processo di Stato”; e forse sarà vero, probabilmente non conosceremo mai la verità del perché fu ucciso il giudice Paolo Borsellino e se davvero il colonnello Mori – investito da Falcone e Borsellino nella preparazione del dossier “mafia-appalti” e archiviato pochi dopo la morte del giudice – è colpevole della Trattativa, ma di certo è che Scarantino sembra essere designato come una figura innocente e il colonnello Mori sembra l’unico a capo di tutto.
Ma ne siamo sicuri?
Possiamo dire con certezza che dietro la storia della “villa di Michele Greco” sono state realizzate «minacce, intimidazioni, processi» che non hanno ricevuto la giusta attenzione da parte della “antimafia”.
Proprio dietro la “villa” di Michele Greco, detto il papa, sono nate trame, scaturiti nomi come l’ex ingegnere Michele Aiello – il re Mida della sanità siciliana che aveva costruito una vera rete di spionaggio per proteggersi dalla magistratura – che per anni è riuscito a restare ai margini delle inchieste giudiziarie.
L’ingegner Aiello espulso dall’ordine proprio dal fratello dell’imprenditore Gianluca Calì che non si è piegato né alla mafia, né a Roberto Campesi (ex consulente del giudice Ayala e presente in via d’Amelio), né al mascariamento della “vita in pericolo a Milano”, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Lo Piparo, ex boss del mandamento di Bagheria legato ai Provenzano.
Michele Aiello uscì indenne anche dalle accuse del pentito Salvatore Barbagallo, che già nel 2000 parlò delle sue relazioni equivoche con Provenzano, finì nell’occhio del ciclone nel 2003, quando la procura di Palermo e i carabinieri scoprirono che aveva messo su una vera e propria rete di spionaggio con al soldo sottufficiali della Finanza e del Ros, semplici assistenti giudiziari ed esponenti delle forze dell’ordine, interessati a piazzare nelle cliniche del re Mida figli e parenti.
Alle dichiarazioni del pentito Barbagallo si aggiunsero quelle di Nino Giuffre’, ex capo mandamento di Caccamo, e di una sfilza di pentiti, ultimo in ordine di tempo, Giacomo Greco, genero del boss di Belmonte Ciccio Pastoia.
Come già accennato nel precedente articolo (leggi qui), perché continuano a rimanere silenzi attorno alla vicenda di Gianluca Calì, del fratello ingegner Alessandro e della sua vicenda non risulta nessuna interrogazione Parlamentare o audizione alla Commissione Antimafia ARS o Nazionale?
Perché di Calì si evidenzia un articolo dal titolo “False minacce mafiose” quando nessuno ha ascoltato o chiesto all’ex boss Salvatore Lo Piparo, collaboratore di giustizia certificato, cosa sapesse del pericolo di vita sull’imprenditore?
“Avevo una pistola pronta per essere usata contro di te e un’altra l’avevo consegnata a una persona a Milano, per fare un regalo alla famiglia mafiosa di Bagheria ed eliminare il numero uno degli sbirri”.
Gianluca Calì e il fratello ingegnere Alessandro subiscono intimidazioni, a distanza di qualche giorno, proprio quando decidono di partecipare all’asta giudiziaria per l’acquisto della “villa di Michele Greco”; tra il 2010 e il 2011 tra intimidazioni e avvicinamenti di soggetti che gli sconsigliano di acquistare la proprietà, la loro vita viene stravolta e distrutta.
C’è addirittura il video che segue che Gianluca Calì, contattato da noi, afferma “non si riesce a trovare più”, eppure il servizio nel video è a cura del Tg5 di Mediaset.
Con coraggio Gianluca Calì ha continuato a lottare e nel 2011 si è aggiudicato l’asta e quindi ha acquisito la villa, ma iniziano i problemi.
A fargli ben presto visita saranno due guardie forestali che si trovavano, casualmente, a passare dal luogo durante la ristrutturazione della stessa; gli agenti della Forestale eseguiranno un sequestro dell’immobile che ben presto «L’ufficio tecnico di Casteldaccia trasformerà in un ordine di demolizione della struttura».
Passeranno anni, soldi investiti e ancora traumi per l’imprenditore, fin quando dopo sette anni, siamo nel maggio 2018, arriva la sentenza del Tribunale di Termini Imerese (PA) che sentenzia il proscioglimento dei fratelli Cali imputati per abusivismo edilizio, perché il fatto non sussiste.
La vicenda della villa sembra essere finita con la sentenza del Giudice che ne stabilisce la verità.
Ma cosa sappiamo della vicenda che gira attorno alla villa e delle due guardie della forestale?
Le due guardie della forestale passano per caso dalla villa di Casteldaccia in fase di ristrutturazione e nel verbale di sequestro fanno intendere che l’imprenditore sta costruendo una casa abusiva sulla spiaggia.
La domanda sorge spontanea: Com’è possibile passare per caso da un’abitazione in ristrutturazione (in questo caso una villa in piedi dal 1960 circa) e senza progetto o disegni verbalizzare “che alla struttura si sta cambiando forma rispetto al progetto originale”?
Fatto sta che durante il processo saranno auditi testimoni dell’accusa e della difesa e la sentenza non lascia ombre di dubbio “Assolti dai reati loro ascritti perché il fatto non sussiste e si ordina il dissequestro dell’immobile e la restituzione all’avente diritto”.
Ma che fine faranno le due guardie Forestali?
Più tardi finiranno in un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo che coordina lo SCO, Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, con l’accusa “ricattavano gli abitanti della zona minacciando il sequestro di immobili. In cambio chiedevano somme di denaro”.
Nonostante ciò, ancora oggi, nessuno vede del marcio ne sente odore di bruciato!
Ma i problemi per l’imprenditore Gianluca Calì e il fratello Alessandro, ingegnere, non sono finiti, tutt’altro…e intanto Gianluca continua a fare la spola da Palermo a Milano per stare con i figli e la moglie.
Che cosa accade tra il 2014 e il 2018 lo scopriremo prossimamente….