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Liberante Romano: confermato l’ergastolo a Mazzarella

È stato condannato in via definitiva all’ergastolo e a sei mesi di isolamento Pasqualino Mazzarella, affiliato al clan Bottaro-Attanasio, accusato dell’omicidio di Liberante Romano, ammazzato e poi ritrovato carbonizzato nella sua auto il 25 maggio del 2002.

L’auto, una Ford Focus, fu ritrovata dalle forze dell’ordine, grazie alla telefonata di un uomo, nella famosa zona di Gallina, a qualche chilometro da Avola (SR).

In un precedente articolo abbiamo parlato sia dell’auto del Romano che dei mezzi a disposizione dell’allora clan.

I giudici della Corte di Cassazione hanno confermato la sentenza della Corte di Appello di Catania nei confronti dell’imputato.

I Pm della Procura distrettuale di Catania, nel ricostruire la vicenda, hanno valorizzato la tesi secondo cui la vittima avrebbe pagato con la vita la scelta di essere autonomo dalla cosca egemone e così fu attirato in una trappola.

La vicenda

In data 10 gennaio 2014 personale della Squadra Mobile di Siracusa eseguì un provvedimento di Fermo d’indiziato di delitto emesso in data 8/1/2014 dalla D.D.A. della Procura Distrettuale della Repubblica di Catania nei confronti di Vito Fiorino (classe 1979), perché indagato per l’omicidio di Romano Liberante, avvenuto in data 25.05.2002.

Il provvedimento di fermo scaturì a seguito degli esiti delle attività d’indagine tecnica eseguite all’epoca dei fatti e dalle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Salvatore Lombardo e Attilio Pandolfino.

Durante l’esecuzione del mandato, il Fiorino pur sottoposto a una misura cautelare detentiva risultò irreperibile perché approfittando di una licenza premio, non fece più rientro. La sua cattura avvenne grazie al fiuto degli agenti della Squadra mobile che scoprirono una botola ricavata sul tetto dell’appartamento dal quale si accedeva alla terrazza sovrastante dove, per l’appunto, fu bloccato da personale della Squadra Mobile.

Il Fiorino, però, uscirà da questo processo perché dopo il fermo il Gip del Tribunale di Siracusa ritenne che non ci fossero gli indizi necessari per portarlo a processo.

Il 12 febbraio 2014, gli Agenti della Squadra Mobile della Questura di Siracusa eseguirono un’Ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal tribunale di Catania, nei confronti di Mazzarella Pasqualino (classe 1973), siracusano, già detenuto, per altra causa, presso la Casa Circondariale di Siracusa, poiché ritenuto responsabile, in concorso con altri, dell’omicidio di Romano Liberante, commesso a Siracusa il 25/5/2002.

Per il delitto Romano fu celebrato un lungo processo (c.d. “Lybra”) che si concluse con la condanna all’ergastolo (ormai definitiva) di Calabrese Giuseppe e Calabrò Salvatore, tutti affiliati al clan Bottaro-Attanasio.

Il summit alla villa

Dai verbali nel fascicolo della Procura distrettuale di Catania risulta che i collaboratori di giustizia, in particolare Salvatore Lombardo, avrebbe dichiarato questa dinamica:

Quel 25 maggio 2002, Liberante Romano, sarebbe uscito da casa per recarsi all’appuntamento, alla guida della Ford Focus (già specificata nel nostro articolo precedente). Durante il percorso, presso il bar Agip, incontrava un altro esponente del clan Franco Toscano e gli chiese di fargli compagnia, per andare a Fontane Bianche perché aveva appuntamento con Calabrese e Calabrò nella villetta di Attilio Pandolfino.

L’incontro, secondo le dichiarazioni dei pentiti, non si svolse nella villetta del Pandolfino, bensì in un’altra abitazione.

Nelle dichiarazioni risultano i nomi dei soggetti che si trovavano all’appuntamento, per l’appunto: Giuseppe Calabrese, Salvatore Calabrò, Pasqualino Mazzarella e Vito Fiorino.

Durante l’incontro, Liberante Romano e Franco Toscano furono fatti accomodare nel salotto della villa, qui il Romano attendeva di ricevere una mazzetta di soldi che aveva chiesto al boss, perché da lì a poco si sarebbe svolto un processo in cui doveva comparire, voleva fuggire.

Il particolare

Liberante Romano, nel giugno 2002, doveva presentarsi innanzi alla Corte di Cassazione, dove era in atto l’ultimo capitolo del processo scaturito dall’operazione antimafia denominata “Tauro” e in cui era stato riconosciuto colpevole di associazione per delinquere di stampo mafioso e condannato alla pena di sette anni di reclusione.

Il primo processo si era concluso il 24 luglio 1998 Siracusa, con quattordici ergastoli, quasi 400 anni di reclusione e diciassette assoluzioni.

In quel processo erano imputati settantanove esponenti della mafia siracusana che furono condannati come segue: ergastolo al capomafia Nello Nardo, accusato di essere il mandante di quattro omicidi, e i mafiosi della sua cosca: Carmelo Caramagno, accusato di cinque omicidi, Delfo Ruggeri, Ciro Fisicaro, Alessandro Limaccio, Antonino Dell’Arte e il latitante Sergio Scannavacca; ergastolo anche per Giuseppe Trigila, figlio del capomafia di Noto, Antonino detto “Pinnintula”; Giuseppe Di Benedetto, Antonino Tarascio, Vincenzo Curcio e Angelo Scarfò della cosca Urso-Bottaro; Carmelo Pugliara e Giuseppe Nigro Restuccia della cosca che faceva riferimento a Salvatore Belfiore.

Pochi ricorderanno che lo stesso giorno si celebrava l’udienza per la strage di via D’Amelio dove depose il fratello del falso collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino che dichiarò che le dichiarazioni del fratello sulla strage erano frutto di fantasia.

Quando si parla di coincidenze e di fato…

L’omicidio di Liberante Romano

Liberante Romano, doveva essere eliminato, non tanto perché voleva fuggire o per la richiesta di soldi al clan, perché già da qualche tempo le relazioni dentro il clan stavano cambiando, in altre parole si temeva un tradimento.

La scelta di Liberante Romano di fuggire, in un ambiente in cui il clan era la famiglia che non si doveva tradire, fece scattare la molla dell’omicidio, uno dei tanti…

Per tale motivo, sempre dalle dichiarazioni, risulta che Giuseppe Calabrese, si recò nella stanza della cucina, dove aveva deposto una pistola calibro 7,65, e quando rientrò nella stanza con gli altri si piazzò alle spalle di Liberante Romano, intento a contare le banconote, e gli esplose due pallottole che si conficcavano alla testa del Romano.

Dopo l’omicidio, tutti abbandonarono la villa tranne il Mazzarella e Vito Fiorino che erano incaricati di ripulire il posto dal sangue e dalle tracce e poi di rimuovere il cadavere.

I due soggetti avvolsero il corpo di Libero Romano in un tappeto e lo riposerò all’interno del portabagagli della Ford Focus, per poi avviarsi Mazzarella, alla guida della propria auto e Fiorino, al volante della Ford Focus, verso la località Gallina, dove dovevano far scomparire l’auto e le tracce, ma i due lasciarono l’auto, Ford Focus con il corpo, in mezzo alla vegetazione senza darle fuoco.

Giunti al luogo dell’incontro, presso Piazza Adda, raccontarono la versione dei fatti, ma furono ripresi perché lasciando l’auto in quel modo, se fosse stato ritrovato il cadavere, gli inquirenti avrebbero certamente rilevato le impronte.

Così Mazzarella e Fiorino ritornarono in contrada Gallina e con una tanica di benzina appiccarono il fuoco alla macchina.

Giorni dopo, le forze dell’ordine ricevettero una telefonata che li informava dell’avvistamento dell’auto bruciata, giunti sul posto trovarono l’auto distrutta dalle fiamme e aperto il cofano rinvenivano un cadavere carbonizzato.

In seguito i Ris di Messina accertarono che si trattava di Liberante Romano.

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