Trizzino in audizione richiama spesso l’attenzione di Scarpinato. In questa prima ricostruzione capiremo i motivi.

Come abbiamo scritto ieri, a proposito della seconda audizione, presso la Commissione Parlamentare Antimafia, dell’avv. Fabio Trizzino e Lucia Borsellino, la situazione è complessa ma anche intrigante.

In questi anni, forse lunghissimi anni, abbiamo assistito a diverse spettacolarizzazioni (anche giornalistiche) che riguardano il periodo delle stragi.

Inutile dire che le più grandi di tutte sono le “sfilate” nel giorno della “strage di Capaci” e quella di “via D’Amelio”, di personaggi che hanno costruito carriere nel nome della “antimafia” e che adesso sappiamo, grazie alla ricostruzione di Trizzino, che da quel 1992 ad oggi, processo dopo processo, audizione dopo audizione, interviste e dichiarazioni, non sono stati capaci o non hanno voluto (forse per partito preso) vedere come stavano veramente le cose; capire che l’intreccio politico-mafioso si muoveva in quella Procura, capire che il ROS era stato preso di mira perché era impossibile che da quel rapporto mafia-appalti venissero fuori 5 arresti o venisse archiviato. E allora, cosa successe veramente, adesso, diventa di “essenziale importanza”.

Oggi abbiamo una certezza: gli atti segretati o nascosti su quanto può condurre alla morte di Falcone e Borsellino, devono essere resi pubblici.

L’avv. Trizzino, durante le due audizioni, l’ha fatto capire molto esplicitamente:

  1. l’attuale senatore Scarpinato deve nuovamente chiarire tutti i punti di quel periodo alla Procura di Palermo;
  2. i ROS furono attaccati mentre cercavano la verità insieme ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino;
  3. la Giunta Regionale Siciliana era finita sotto inchiesta;
  4. il dossier mafia-appalti e il processo “Mani Pulite” erano uniti per fronteggiare due fronti;

È una storia triste quella che stiamo ricostruendo, la si intuisce leggendo le varie dichiarazioni degli auditi, davanti al CSM nel documento datato 30 luglio 1992, tra contraddizioni e problematiche visibili, in audizione ne leggerete delle belle.

“Sono Gioacchino Natoli sostituto procuratore della Repubblica di Palermo, componente della Direzione Distrettuale Antimafia dal 9.6.1991. No, no, alla Procura della Repubblica. In precedenza, sono stato all’ufficio Istruzione, componente di quel gruppo di lavoro o per lo meno originario gruppo di lavoro. Io non avrei, anzi non ho dichiarazioni spontanee da rendere e quindi preferirei che voi cortesemente mi poneste delle domande specifiche ritenendo che a questo punto, dalle audizioni che avete sentito, si saranno pure focalizzati dei temi in ordine ai quali avete esigenze, se siete d’accordo.

Quindi anche in nome di, o come interprete muto, e sottolineo muto, di questa realtà ho ritenuto in questo momento che fosse necessario fare per quella modestissima parte che potevo fare, questa scelta, rinviando al prosieguo, ove necessari o, ove ritenuto utile o semplicemente opportuno, l’approfondimento di fatti quali ad esempio quello della sicurezza al quale voi facevate riferimento che si sono soltanto ulteriormente posti all’attenzione di tutti dopo questi due gravissimi attentati, ma non erano fatti ignoti alla magistratura palermitana che li ha subiti sia nel momento nel quale sembrava, come in questo, che la protezione ci debba essere, debba essere efficace, debba coprire l’area di tutti i soggetti a rischio e non soltanto di quelli che appaiono maggiormente a rischio, ma non posso neppure dimenticare, ovviamente, perché sto al Tribunale di Palermo dal 1983, i momenti nei quali qualche presidente della Corte di Appello nella sua, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 1987, Carmelo Conti, disse che la città non ne poteva più di avere le orecchie lacerate dalle sirene “spietate”, perché le battute a Palermo sono lo sport preferito. Si le battute, i motti salaci, le battute di spirito e quindi insieme agli altri colleghi dell’allora pool antimafia, a cominciare dal cons. Caponnetto, rinunciammo alla nostra scorta perché non volevamo disturbare le orecchie dei palermitani e non volevamo impedire minimamente, neppure per un attimo, che la micro criminalità così come in sedi istituzionali o comunque da ritenere responsabili, era stato detto, non fosse sufficientemente perseguita perché c’erano 700 uomini che facevano la scorta ai magistrati a Palermo. È chiaro? Quindi consentitemi di dire che questo è soltanto un momento dell’andamento del pendolo che va in una certa direzione, ma ricordo benissimo, prego Presidente…”

Presidente. Ci fu uniformità di vedute in questa fase.

Natoli: Nel 1987 sì, assolutamente. Pregammo soltanto Giovanni Falcone, da noi ritenuto soggetto assolutamente da tutelare nell’interesse supremo della giustizia, di non lasciarsi coinvolgere in questa nostra richiesta. La nostra richiesta venne parzialmente accolta dal Comitato Provinciale, nel senso che ci tolsero la scorta che all’epoca avevamo e ci lasciarono la tutela, cioè quella cosiddetta “dama di compagnia” come brillantemente un giorno Alfredo Morvillo ebbe a definirla, che viene in macchina con noi e che eventualmente si espone ad essere la seconda vittima di un eventuale attentato perché è assolutamente pacifico che se si è in due, dei quali uno disarmato, basta mandarne soltanto tre se si vogliono usare mezzi di aggressione tradizionali oppure utilizzare mezzi molto più efficaci e che non facciano correre alcun rischio perché un’altra delle connotazioni di quest’ultima fase di “cosa nostra”, secondo le mie modestissime conoscenze, è quella di non correre alcun rischio. Rischio deve essere pari a zero perché già se rischio è 0,5, si può cominciare a valutare l’opportunità di rinviare a migliore occasione l’eventuale attentato.

D. È in grado di precisare in quale sede Istituzionale si è detto che la microcriminalità non veniva perseguita a Palermo perché gli agenti erano distolti a fare la scorta ai magistrati?

Natoli: Sindacati di Polizia. Sicuramente, mi lasci, preferisco mettere le sigle perché potrei dimenticarne qualcuno. Comunque, credo che ci siano dei documenti e credo di ricordare che anche recentemente, anche dopo la tragedia di Capaci, qualcuno di questi Sindacati abbia ulteriormente ribadito che siccome le scorte sono assolutamente inutili è altrettanto inutile sprecare personale per fare questo discorso. Potrebbe essere il problema della coperta troppo corta. Comunque sia, insomma, riferivo il fatto perché, ripeto, il problema della sicurezza oggi ce lo dobbiamo porre più che i eri; ma non che ieri il problema fosse meno grave e meno evidente. Ed allora personalmente ho ritenuto che questo stesso problema, pur sottolineandolo, pur evidenziandolo, pur avendo, potendo avere a titolo personale il massimo del pessimismo in ordine al risultato da perseguire, fosse da evidenziare non in questo momento e comunque con forme che non prestassero il fianco a letture non univoche e per me la lettura univoca doveva essere o dovrebbe essere, per carità, quella di uno Stato che non si lascia assolutamente intimorire, non si lascia minimamente intimidire di fronte ad una strategia di tipo terroristico quale è quella che “cosa nostra” con questi ultimi due attentati ha mostrato di voler porre in essere, costi quel che costi; ed il costi quel che costi intendo dire è la previsione di poter cadere così come sono caduti i nostri colleghi perché questa stessa riflessione l’abbiamo fatta anni addietro insieme a Giovanni Falcone ed a Paolo Borsellino, e loro erano perfettamente coscienti, come sono cosciente oggi io, di correre dei rischi personali. Non si sono tirati indietro, non mi sembra minimamente pensabile che io, parlo soltanto per me, possa oggi revocare per un attimo, in dubbio, l’impegno così come l’ho manifestato nei giorni, nei mesi e negli anni precedenti.

Ed ancora:

“In questi ultimi 60 giorni, ora ho perso pure il conto, comunque dal 23 maggio la situazione si è completamente ribaltata quindi parlare di sicurezza, così come ne stiamo parlando in questi giorni, con l’attenzione vigile ed attenta o almeno apparentemente tale, di pezzi delle Istituzioni, era assolutamente impensabile nel 1988 o nel 1989. Noi venivamo da un referendum nel quale il Paese ci aveva detto che di questa magistratura non sapeva che cosa farsene. Credo che dopo il referendum con il quale si respinse la richiesta di abolizione della pena dell’ergastolo, il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati abbia avuto il più alto indice di gradimento da parte di chi lo aveva proposto e queste sono riflessioni che, insieme spesso anche a molti dei presenti, abbiamo fatto in tutte le sedi e in tempi non sospetti. Quindi dobbiamo tentare di storicizzare i fatti perché, se prendiamo frammenti di fatti e dimentichiamo il momento in cui quelle dichiarazioni sono state rese, quegli appunti sono stati presi, potremmo rischiare di pervenire a decisioni non corrette e credo che ciascuno di voi prima di me nella propria azione giudiziaria faccia questo sforzo nel cercare di discernere tra quello che un teste riferisce, il momento in cui ha appreso e la cornice entro la quale ha appreso certi fatti. In ordine al fatto che Paolo Borsellino fosse la prima vittima predestinata subito dopo Giovanni Falcone non c’erano dubbi di sorta e lui per primo li manifestava apertamente con serena tranquillità in ordine a quello che lo aspettava.

Era un po’ quello che avevo tentato di spiegare prima, cioè certe scelte risalgono a molti anni fa. Oggi siamo soltanto, speriamo, alla parte terminale anche se forse questa è soltanto fiducia e quindi non è più tempo per dire non poteva essere tempo per Paolo per dire mi fermo. Ricordo personalmente che ebbe quasi subito a dirmi “ora che mi è venuto meno il paravento di Giovanni è chiaro che il prossimo sono io”, io ne ero perfettamente cosciente. Credo pure di avere detto, in tempo non sospetto, a qualche amico che questa purtroppo era la realtà, il che non significava che Paolo non fosse protetto così come lo si poteva proteggere nelle condizioni date. Oggi probabilmente le cose sarebbero diverse. Per quanto riguarda itinerari fissi o altro,  per quanto riguarda Via Mariano D’Amelio, devo dire, probabilmente per colpa mia, e non mi sono informato a sufficienza che ignoravo che la madre di Paolo abitasse presso una sorella in Via Mariano D’Amelio, tant’è che nella immediatezza della  notizia, quando si disse che c’era stata una violentissima esplosione in Via Mariano D’Amelio io non pensai minimamente a Paolo ma pensai, sia pure molto alla lontana, che potesse riguardare Ayala che abita grosso modo nei pressi. Cioè, non conoscevo nessun collega, quanto meno di quelli esposti a rischio nella nostra classifica mentale dei top-ten, che abitasse in Via Mariano D’Amelio. Quindi questo non lo so. Aveva degli altri itinerari fissi, certo Paolo veniva in ufficio, si muoveva grosso modo ad orari fissi, era molto mattiniero ecc… Io personalmente ebbi a preoccuparmi e ne feci aperta menzione nel corso di una riunione della DDA perché gli unici problemi inseno alla DDA, se la memoria non m’inganna, per la sicurezza, li ho sollevati ufficialmente io, perché qualche uomo della mia tutela, o meglio di quelli che si avvicendavano nelle tutele, ebbe a dirmi dopo il caso Falcone, che il turno, il cosiddetto turno in quinta che gli avevano messo sotto casa era affidato a soggetti sempre giovani, privi di esperienza e che comunque la distribuzione dell’orari o di lavoro era tale che induceva talvolta, qualcuno, secondo l’esperienza dico, è un poliziotto che riferisce fatti che riguardano la Polizia, ad addormentarsi durante la notte tanto, ripeto, che uno di questi mi disse “ma perché hanno messo il turno in quinta al dott. Borsellino. Lei che gli è amico glie lo dica che era molto più protetto quando aveva le due squadre di scorta che non con il turno in quinta”.

A proposito dell’interrogatorio di Gaspare Mutolo, è interessante questo passaggio dell’audizione sempre del dott. Natoli:

“A me non l’ha detto, non so se l’abbia detto a Guido Lo Forte; di questo fatto a me non ne ha fatto menzione. C’è un altro fatto che mi apprestavo a dirvi, invece, che si pone immediatamente quando noi arriviamo lì il 16 mattina; lui ci presenta dicendo “questi sono i colleghi ecc. ecc., lui dice di me che si ricordava quantomeno del nome (MUTOLO), però dice esattamente (ed è verbalizzato a BORSELLINO): “Dottore, lei mi può portare chiunque vuole, il fatto che sia lei ad accompagnarsi a questa persona per me è garanzia sufficiente”. Questo è un quadro che solo chi si è interessato di mafia può capire, è una presentazione; se tu mi presenti qualcuno, lo porti con te, significa che tu lo conosci; quindi, sei responsabile del comportamento di questo terzo nei miei confronti. Noi apprezziamo chiaramente il discorso e lui soggiunge: “L’unica cosa che mi interessa sapere è se le i può interessarsi, si interesserà della gestione e delle decisioni conseguenziali che riguardano questo processo e che concerneranno me”. Paolo Borsellino, a questo punto, con una scusa, prega Mutolo di allontanarsi un attimo dalla stanza e dice a me e a Lo Forte: “Io ho quelle perplessità sulla assegnazione, non mi sento di prendere questo impegno”. Immediatamente io, sostenuto da Lo Forte, gli dico: Intanto ti abbiamo già fatto presente ripetutamente quale è il nostro pensiero in ordine al fatto che tu sei assegnatario a tutti gli effetti di questo processo, in secondo luogo non possiamo lasciare trasparire minimamente di fronte ad un soggetto dello spessore di Mutolo, perché ne andrebbe della tua legittimazione all’esterno, che tu non sei in grado di dire: “Le dò questa assicurazione, perché tu rappresenti 1’Ufficio di Procura di Palermo, sei uno degli aggiunti, tu nei confronti di Mutolo rappresenti lo Stato. Mutolo ti sta affidando la sua vita, hai fatto tanto per incentivare questa famosa legge, la legge finalmente è venuta … quindi.

Paolo da quell’uomo intelligentissimo, duttile e flessibile quale era, si convince immediatamente di questa nostra tesi. Gli dissi; “Tra l’altro non ci sono problemi perché a sgombrare il campo da ogni equivoco, appena ritorniamo a Palermo, andiamo a parlare tutti e tre, anzi facciamo presente io e Lo Forte ufficialmente a Piero di queste tue perplessità”. Saranno passati in tutto questo discorso non più di dieci minuti, meno sì, di più no, si fa rientrare Mutolo e si dà atto a verbale che Mutolo chiede che chiunque è, Borsellino si impegna a gestire ecc … L’Ufficio assicura che le richieste del Mutolo saranno integralmente rispettate. Procediamo all’interrogatorio, Paolo resta con noi fino alla metà del giorno successivo, poi deve rientrare perché aveva un impegno di coordinamento con Tinebra che nel frattempo si era insediato a Caltanissetta e quindi ci lascia, il sabato mattina (8,15-8,30), prima che noi ci recassimo a proseguire l’interrogatorio con Mutolo, io lo chiamo al cellulare per informarlo intanto di come era andato l’interrogatorio (avevamo questa bella abitudine di tenerci costantemente in formati di tutto quello che ci riguardava), lui mi dice va “Come è andata ieri?” È andata bene, nessun problema, ecc. ecc… Dopo di che ho parlato a Piero di quel fatto che è successo ieri e mi ha detto che abbiamo fatto benissimo, non ci sono problemi, anzi sono nella sua stanza, aspetta che te lo passo”.

Dà il suo cellulare a Piero Giammanco e prima io e poi Guido Lo Forte parliamo con Piero Giammanco il quale ci dice che non so lo avevamo fatto bene, non solo che aveva interpretato autenticamente la sua disposizione, ma mi dà incarico di dire ufficialmente a Mutolo, da parte del Procuratore della Repubblica di Palermo, che la sua richiesta di ieri è confermata anche dal Procuratore della Repubblica di Palermo e gli dici anche che io la prossima settimana, appena fisserete l’interrogatorio, verrò sia per conoscerlo, sia per confermargli a voce quello che gli sto dicendo”. Io immediatamente faccio presente questo fatto a Mutolo quando iniziamo l’interrogatorio; Mutolo che, appartenendo ad una organizzazione in cui i segnali hanno importanza, coglie l’importanza del messaggio che gli viene fornito, cioè che il Procuratore della Repubblica gli conferma quello che noi avevamo già assicurato il giorno prima e andiamo via. Purtroppo, io poi sento Paolo intorno alle 21 del sabato, lui mi fa capire che è fuori casa – stranamente perché non amava parlare al telefono – si sofferma qualche minuto con me, restiamo intesi, cioè io gli dicevo che cosa era successo in quel giorno, restiamo intesi che ci saremmo sentiti la domenica (e chiaramente doveva essere la domenica sera) e poi purtroppo… Questo è quello che mi risulta – passaggio più, passaggio meno, …”

Il dottor Giammanco e l’on. D’Acquisto

A proposito dell’amicizia tra il Procuratore di Palermo, dott. Giammanco, e l’on. D’Acquisto, ecco cosa dichiara il dottor. Natoli:

“Per quello che posso dire io è questo che l’on.le D’Acquisto in Tribunale in questi quattro anni circa che il dott. Giammanco è tornato a Palermo dopo lunga assenza e in cui io per quello che posso dire io del tribunale io l’ho visto soltanto il giorno della morte di Lima perché è stato sentito come teste nell’immediatezza dei fatti credo dal collega Napoli e da Aliquò solo questo comunque da qualcuno dei miei colleghi e dopo di che l’on.le D’Acquisto in Tribunale in questi 4 anni io non l’ho visto. Con celebrazioni ufficia li questo non lo so perché sono io che non ci vado per principio quindi anche le rare volte che mi invitano io non ci vado per principio quindi non glielo posso dire se invitati entrambi nelle rispettive qualità si mettessero uno vicino all’altro oppure non questo non glielo so dire una volta poi il dott. Giammanco ha invitato a casa sua alcune persone fra cui il Questore il Prefetto ed altri colleghi ha invitato anche me c’era anche l’on.le D’Acquisto così come c’erano altre persone ancora

L’accusa a Giammanco e alla controversa dichiarazione del dottor Natoli

Durante le varie audizioni al CSM, però avviene qualcosa che è utile riportare. Riguarda la dichiarazione resa dalla dott.ssa Principato a proposito della relazione Giammanco-D’Acquisto e la reazione dei colleghi di quella Procura:

“La sua credibilità, dicevo, è stata posta – dobbiamo ammetterlo – soprattutto in discussione dallo stretto e, direi, ostentato, rapporto di amicizia che Giammanco ha sempre portato avanti con l’on. D’Acquisto che, lo so, è stato sottosegretario alla Giustizia. Ma in Sicilia è soprattutto l’uomo di Lima. È l’uomo di Lima. E che questa dichiarata e ostentata appartenenza del Procuratore Capo a questa azione politica abbia creato spaccature, divergenze, disagio, a me onestamente pare più che giustificato. Per diversi fatti: innanzi tutto perché – e questa è una cosa della quale tutti noi siamo a conoscenza – l’on. D’Acquisto figura (gli sono dedicate parecchie pagine, anzi) in una sentenza, la sentenza del maxi-bis, dove vengono non paventati, ma vengono proprio esaminati, analizzati i suoi rapporti con personaggi di collocazione mafiosa, ai quali, secondo quella motivazione, il D’Acquisto faceva anche dei favori. E c’è ancora di più: in una indagine recentemente condotta, della quale sicuramente tutti voi siete a conoscenza, recentemente condotta in Catania, cioè quella sui brogli elettorali che ha condotto poi all’arresto di Susini, il nome di D’Acquisto veniva fuori da una intercettazione telefonica e veniva fuori proprio con riferimento alla sua amicizia col capo di quella Procura, perché si chiedeva di avere un colloquio con D’Acquisto, in modo che D’Acquisto potesse attraverso la sua amicizia intervenire su colui che gestiva il processo a Catania, che era poi Felice Lima.

Quando Lima è stato ucciso, pochi minuti dopo D’Acquisto era dietro la porta di Giammanco

“Quindi il D’Acquisto sulla base, se non altro, di questi elementi, a mio avviso e ad avviso di molti colleghi (e questa è in Sicilia opinione diffusa, direi quasi scontata), fa parte, rappresenta quell’intreccio politica-mafia i cui nodi essenziali sono stati da noi più volte, da decenni denunciati, perché ancora irrisolti. Bene, io non ho detto e non voglio dire qua che D’Acquisto sia mai stato raggiunto da una condanna, è vero. Però era certamente persona discussa così come era, ovviamente, persona discussa Lima e quindi per difendere la sua credibilità e la credibilità dell’ufficio – perché in un ufficio su struttura così esasperatamente gerarchica, poi inevitabilmente una politica giudiziaria intrapresa dal Capo coinvolge ovviamente tutti coloro che di quell’ufficio fanno parte – doveva, anziché ostentare e giustificare questa amicizia, prendere doverosamente le distanze da D’Acquisto, indipendentemente da effettivi coinvolgimenti giudiziari del D’Acquisto stesso. Quando poi c’erano addirittura dei partiti, come la Rete, come Orlando, che denunciavano quotidianamente queste appartenenze. Che cosa è successo invece in questi anni? Che non solo questo rapporto è stato difeso, ma noi abbiamo dovuto registrare le reiterate continue presenze di D’Acquisto in Procura. Io ricordo addirittura che, quando Lima è stato ucciso, pochi minuti dopo D’Acquisto era dietro la porta di Giammanco. Io ritengo che questa siano cose per chiunque inquietanti e quindi anche per noi che vivendo immersi in quella realtà, abbiamo, senza presunzione credo, una particolare capacità di leggerla. La stessa politica della “carte a posto” ha anche impedito che finché Giovanni Falcone rivestiva il suo posto di Procuratore aggiunto presso la Procura di Palermo, scoppiasse il contrasto tra Falcone e Giammanco. Un contrasto che tuttavia esisteva, che per chi ha lavorato, come me, per chi aveva come me un rapporto di amicizia con Giovanni Falcone, sa che è stato declinato e denunciato più volte dallo stesso Giovanni Falcone. A proposito mi fa veramente quasi sorridere la polemica, peraltro innescata dal Ministro dell’interno recentemente, sull’autenticità di quei diari. Tutte quelle vicende noi le abbiamo vissute”.

L’indagine alla Giunta Regionale e D’Acquisto

Il dott. Natoli, durante l’audizione, parla dell’indagine a carico della Giunta Regionale e di quella legge assunta all’unanimità dall’assemblea regionale per creare una società pubblica che aveva assunto come dirigenti i cugini Salvo.

“Se voi andaste a vedere – e lo potete andare a vedere – il lavoro che personalmente feci nel la istruzione del processo nel quale D’Acquisto, quale capo  della Giunta Regionale, fu indiziato di interesse privato in atti d’ufficio con gli altri componenti della Giunta, il passaggio delle Esattorie, dai Salvo alla prima società pubblica, la Soged, su indicazione di Giovanni Falcone che era coassegnatario  del processo con me all’ufficio Istruzione, mi andai a spulciare tutti i fascicoli personali dei dipendenti della Satris. La Satris sappiamo che era dei cugini Salvo, uno dei quali con sentenza passata in giudicato è stato condannato per appartenenza a Cosa Nostra, Ignazio il quale sarebbe stato capo decina, Nino che è morto nelle more della istruttoria non può essere etichettato come però abbiamo motivo di ritenere”.

Poi continua:

“[…] perché, se andate a vedere le fotocopie che sono state tratte e che si trovano in quel fascicolo che poi venne archiviato per un motivo che eventualmente se vi interessa vi posso spiegare, troverete che le segnalazioni che venivano fatte al mafioso – questo lo posso affermare Ignazio Salvo – provenivano da tutti i partiti dell’arco costituzionale. E i Salvo conservavano gelosamente quei fascicoli personali perché all’interno dei fascicoli c’erano i biglietti che venivano scritti nelle sale degli aeroporti, che erano i telegrammi che venivano mandati da tizio, da caio nell’esercizio di una carica, c’erano le carte intestate su cui venivano fatte le raccomandazioni; ed erano tutte conservate e spillate lì dentro perché ritenevano quello un buon motivo per una buona polizza di assicurazione per potere fare questo discorso. Tutto questo discorso non ha avuto la pubblicità che poteva avere perché non si poteva arrivare, si decise di non arrivare, al rinvio a giudizio perché ad un certo momento una legge assunta all’unanimità dall’Assemblea Regionale Sicilia (23settembre ’82) coprì quello che fino a quel momento era stato un comportamento sicuramente da interesse privato in atti d’ufficio. Il fatto era il gioco delle tre carte: tolgo la gestione delle Esattorie ufficialmente ai Salvo, creo la società pubblica, però la società pubblica è una scatola vuota, il primo atto della società pubblica è quella di prendere coscienza della propria inesistenza operativa e quindi di prendere in gestione per otto miliardi e mezzo all’anno più il rimborso spese a piè di lista, tutto quello che era la Satris compresi cugini Salvo che prima del passaggio si erano fatti assumere come dirigenti alle dipendenze della società. D’Acquisto era il presidente della Giunta di Governo che gestì questa operazione facendola passare politicamente come la prima operazione “mani pulite” della storia dell’Assemblea Regionale Siciliana. Noi andammo avanti in questa maniera, purtroppo quando in un certo momento c’è una legge che mi copre tutta questa condotta si interrompe il nesso di causalità, è scritto in questa maniera, però l’indagine fu molto lunga, i Salvo non gradirono affatto il sequestro di quei fascicoli personali perché vennero fuori collegamenti che dovevano restare assolutamente coperti; questo fatto è assolutamente disdicevole, intanto non era verificabile perché si andava a sentire D’Acquisto che cosa ha detto, ha detto evidentemente che lui di questo fatto non ne sapeva nulla e non ne sa nulla, ad esempio di essersi interessati per far riottenerela patente a Peppe Marsala, ma di questi fatti ce ne sono decine e decine e forse centinaia e sono fatti gravissimi”.

Venerdi, 9 ottobre, ci sarà l’ultima audizione dell’avv. Trizzino e Lucia Borsellino. In quest’ultima parte, i due auditi, risponderanno alle domande dei componenti della Commissione Parlamentare Antimafia.

Lascia una recensione

Ultimi articoli

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

Articoli più letti